sabato 30 gennaio 2016

"Ma egli passando in mezzo a loro, se ne andò" - IV Domenica del Tempo Ordinario


Non è questione di essere "figlio di Giuseppe, il falegname" oppure di Pietro il pescatore o di Matteo il pubblicano.

Nella vita - anche se il mondo usa spesso le ristrette logiche della gente di Nazareth - non si è qualcuno per il nome dei propri genitori, per la posizione sociale acquisita o per chissà che sorta di favore concesso dal potente di turno al poveraccio del paese, ma per ciò che la tua storia, la tua cultura, la tua formazione, hanno fatto di te lungo gli anni della tua esistenza: in poche parole, per ciò che sei come persona.

Bello o brutto, simpatico o antipatico, capace o incapace, intelligente, superbo o umile, ciò per cui potrai vantarti di aver lasciato un ricordo nella tua vita è di essere stato sempre te stesso, ad ogni costo e in ogni circostanza.
Sia che abbiano puntato gli sguardi fissi su di te in mezzo a un'assemblea di persone, sia che tu passi inosservato pure in un gruppetto di dieci amici; sia che tutti rimangano meravigliati dalle parole di saggezza che escono dalla tua bocca, sia che ti considerino sempre e solo un bifolco, ignorante perché "di Nazareth, da cui non può venire nulla di buono", per cui non puoi fare altro che parlare e mangiare come ti ha insegnato tua madre; sia che tutti un giorno ti portino in palmo di mano e ti votino per entrare a far parte del governo del tuo paese, sia che questi stessi "tutti" vengano a prenderti a casa tua per buttarti giù da un dirupo perché hai veramente dato fastidio; sia che ti chiami Gesù di Nazareth, sia che ti chiami Messia, Cristo, o Figlio di Dio.

Alla fine dei conti, vali per ciò che sei, e non per quello che ti hanno chiesto di essere o per ciò che tu credi puoi rappresentare agli occhi degli altri. Perché se aspetti di valere agli occhi degli altri per sentirti realizzato, beh, allora stai fritto...

"Nemo profeta in patria est."
Le parole ispirate e piena di saggezza di Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth, quel sabato nella sinagoga del suo paese non sarebbero servite a nulla, se non fossero state dette per amore. 
E credere o non credere in lui come Figlio di Dio, per i suoi compaesani, quel giorno, forse non era nemmeno la questione fondamentale...non era certo facile dare a lui il proprio assenso in pochi minuti...però sì, era fondamentale accoglierlo, fargli spazio nel cuore e nella vita, tenerlo come un tesoro prezioso in sé: in definitiva, amarlo. Sarebbe stato sufficiente.
Perché solo l'amore basta a tutto.

Solo l'amore è grande e rende grandi.
Solo l'amore vuole sempre il bene dell'altro.
Solo l'amore non è invidioso del bene dell'altro; e quando fa il bene, non lo rinfaccia, non se ne vanta, non lo rivendica, non dice all'altro "con tutto quello che io ho fatto per te"...
Solo l'amore rispetta l'altro per quello che è, qualsiasi esso sia, e in qualunque modo esso sia; solo l'amore fa tutto gratuitamente; solo l'amore rimane calmo di fronte alle offese ricevute e alle cattiverie; solo l'amore perdona, e addirittura dimentica i torti ricevuti; solo l'amore è così ingenuo da credere tutto, così fiducioso da sperare sempre che l'altro un giorno cambi, così paziente da sopportare tutto, sempre, senza mai dire la parola "Basta!"...

"L'amore è eterno", diciamo spesso con frasi da cioccolatino, romantiche e anche un po' scontate. Scherziamo, esageriamo...ma in realtà è così.
Se un amore finisce, è perché non è mai iniziato; se non inizia, è perché non è amore; se inizia, dura per sempre. Perché è più grande di tutto. È onnipotente. È come Dio.
Che Dio fosse amore, già lo sapevamo. Ma che l'amore fosse Dio, e solo Dio, questo ce l'ha detto suo Figlio Gesù.
Solo lui è l'Amore; ma per grazia, permette a noi, qui sulla terra, di viverlo; e di vivere per Lui.

(don Alberto Brignoli)

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 4,21-30. Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi». Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!». Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro». All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò. 






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