Il
brano del Vangelo che abbiamo letto ci rimanda all'ultima cena di
Gesù con i suoi discepoli.
E’ la sera “quando
si immolava la pasqua”.
La circostanza, richiamata espressamente da Giovanni, lega la Cena
alla morte di Gesù perché quell'anno l’agnello pasquale sarà
costituito proprio dell’offerta che Gesù fa di se stesso al Padre.
Ci
viene così offerta ancora una volta l’occasione per scoprire le
nostre origini di cristiani perché, come tali, siamo nati dalla
morte e risurrezione del Signore. Di quella Cena dobbiamo “fare
memoria” che è insieme ricordare e fare; richiamare fatti del
passato e ripeterli per goderne tutta l’efficacia di salvezza. E’
questa la forza straordinaria dell’Eucaristia. Rendendo presente il
corpo e sangue di Cristo versato per noi, attualizza, cioè rende
presente qui e ora in tutta la sua efficacia la morte redentrice del
Signore.
Ecco
perché, nell'ultima cena, Gesù, preoccupato per il futuro dei
discepoli, dice: “Fate
questo in memoria di me”.
Con l’istituzione dell’Eucaristia consegna loro se stesso, il suo
corpo e il suo sangue offerti sulla croce, perché quella sorgente
perenne di salvezza li possa assistere e nutrire lungo tutto il
percorso della storia. Le parole di Gesù, che la chiesa ripete ogni
volta che si raccoglie per celebrare, sono un comando che nasce dal
cuore di Cristo, preoccupato di garantire ai suoi la sua perenne
presenza. L’Eucaristia è in grado di rifare nuova ogni giorno la
loro vita a immagine di quella del maestro, di unirli a se in
comunione intima.
La
cena del Signore la celebriamo ogni domenica.
La Chiesa ha istituito
la solennità del Corpo e Sangue di Cristo come momento di
riflessione per ricordare a tutti i fedeli la grandezza di questo
sacramento e richiamarlo alla loro consapevolezza.
Puntualizzando, richiamiamo alcune verità:
Celebrare
è attualizzare la Pasqua, la morte e la risurrezione, non nel senso
di rinnovarla fisicamente ma di renderne presente l’efficacia.
L’Eucaristia ci rende contemporanei del Signore morto e risorto e
rende come presenti i misteri di grazia che celebriamo.
La
messa è innanzitutto un grande rendimento di grazie. La chiesa offre
al Padre Gesù, il figlio prediletto che per amore ha sulla croce ha
offerto se stesso: “Ti,
offriamo, o Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e
santo”.
Il
Figlio morto per amore, è il dono perfetto e gradito a Dio, posto
ora nelle nostre mani per dire il nostro grazie per tutta l’opera
di Dio, dalla creazione alla redenzione.
L’Eucaristia
è il sacramento che rinnova e accresce l’unione profonda con
Cristo maturata nel Battesimo e alimenta la comunione con la Trinità
E’
pegno d’immortalità: “Chi mangia la mia carne e beve il mio
sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.
E’
nutrimento, assunzione di forza che ci rende capaci di vivere
d’amore, e di compiere le opere di bene della quali egli ci ha dato
testimonianza.
E’ Presenza costante, umile, silenziosa, garanzia
che non siamo mai soli, occasione per ravvivare il nostro personale
rapporto di amicizia e di amore.
Occorre
inoltre ricordare che la festa del Corpo e sangue di Cristo è stata
istituita per rinnovare la nostra fede nella presenza del Signore in
mezzo al suo popolo.
Il Signore si rende presente in diversi modi,
come ci ricorda il Concilio: è presente nella sua Parola, è
presente in chi presiede in nome suo le celebrazioni, è presente nell'opera pastorale dei ministri sacri, è presente nei poveri che
incontriamo.
Ma nell'Eucaristia, pane consacrato c’è una presenza
particolarmente forte e reale: la chiesa afferma una presenza “in
corpo, sangue e anima”. Oggi questa presenza rischia di uscire dall'attenzione e devozione del popolo di Dio.
Inoltre,
essa intende rendere culto pubblico al Segno sacramentale mediante il
quale Gesù ha voluto rimanere in mezzo a noi per continuare la sua
opera di salvezza e offrirla alla comunità dei fedeli in cammino
lungo la storia. La messa la celebriamo ogni giorno.
Occorreva
riservare un giorno per dire solennemente grazia al Signore e dirlo,
fin quando ci è possibile, anche come comunità che abita una città,
vive in uno spazio urbano, anche esso oggetto di benedizione da parte
di Cristo che per tutti ha offerto la sua vita.
(Padre Stefano Orsi, ofm)
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Dal Vangelo secondo Marco (Mc 14, 12-16. 22-26)
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: "Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?". Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
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