sabato 26 dicembre 2015

"Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe



Il tempo di un'adorazione, colorata dalla musica degli zampognari, che Lui inizia la sua missione: non c'è tempo da perdere quaggiù sotto il cielo. 
Urge aprire il cantiere di una strada che riconduca i passi degli uomini lassù dove regna la nostalgia di una casa abbandonata. 
Come uno di noi, stamattina: pure Lui un figlio che fa le valigie e si allontana da casa. E loro due, Maria di Nazareth e Giuseppe figlio di Davide, come genitori qualunque oggi, alle prese con i sogni di un Figlio che non corrispondono più di già ai loro sogni: "ma essi non compresero le sue parole"
Un pugno di stelle e qualche dono arrecato loro dagli ultimi della storia, e già tra le mura della casa di Nazareth si respira aria di crisi: "angosciati, ti cercavamo". 
Neanche i santi capiscono i santi: ottimi genitori alle prese con l'incomprensione di un Figlio al quale già stanno strette le porta di casa. Sono pure profeti visitati da presenze angeliche Maria e Giuseppe, eppure non capiscono cosa stia succedendo nella loro vita di giovani sposi.
Eppur non s'arrendono, sapevano di dover fare i conti con un Figlio diverso dagli altri figli, e chiedono spiegazioni: "perché ci hai fatto così?". 
Interrogano con le stesse domande delle donne e degli uomini di tutti i tempi: con loro condividono l'angoscia di non capire, la malinconia dell'incomprensione, il fatto che i figli non sono mai propri figli ma figli di un Cielo che chiede spazio ad un grembo per farli nascere, per poi lasciarli liberi di spiccare voli. In quella domanda la libertà delle mura di Nazareth: loro chiedono - com'è lecito che sia -, ma lo fanno con un dialogo pacato, sobrio e amoroso, un dialogo che mette pure in conto di ricevere di ricambio una risposta incomprensibile. Come avviene di lì a poco:"non sapevate che dovevo occuparmi delle cose del Padre mio?". Loro chiedono e Lui risponde, con quell'afflato amorevole di un Figlio che se parte non è per ripudiare gli affetti ma per accendere ovunque il sapore della vita: ascolta, interroga e risponde. 
Cosicché una mattina di piena crisi nella famiglia di Nazareth diviene l'alfabeto della comunione nelle case di quaggiù. Ognuno a seguire la propria stella: non si perderanno perché nel fondo di essi abita una profezia, forse anche un frammento di sogno. E i sogni sono solo piccoli sogni e le rivelazioni sono solo piccole rivelazioni. Perché questa è la strategia dell'Eterno nelle prove: c'è tanta luce quanto basta al primo passo, tanta luce quanto basta alla prima notte, quanto basta alla partenza. Poi Dio condanna allo sbaraglio: tornerà vicino ad ogni svolta della vita per assicurare che una profezia è custodita anche nella cronaca più nera. Fin sotto l'oscurità del monte Calvario.

Il Bambino e i Suoi: il tempo di darsi uno sguardo reciproco e si torna a Nazareth insieme. Come insieme erano andati a Gerusalemme e insieme avevano cercato il Figlio. Perché nella Scrittura insieme ci si smarrisce ma insieme anche ci si ritrova: è sempre assieme che si apre la strada della salvezza. 
Pure Lui, senza preferenza alcuna "stava loro sottomesso". Come tutti i figli di quaggiù: trent'anni ad apprendere la silenziosa arte di diventare uomo, tre decenni di silenzioso apprendimento e di fedele appartenenza al casato di papà. Sei lustri senza alcun evento prodigioso: un giorno li compirà a malincuore i miracoli, sempre fonte di ambiguo apprezzamento e di lodi frastornanti. Lui "cresceva in sapienza, età e grazia", Lei "conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore". 
Due verbi all'imperfetto: il tempo lungo dell'attesa e dello spasimo, degli interrogativi e dei parti, dei misteri e della Croce. 
A Nazareth abita il quotidiano, a Gerusalemme l'Eterno: le cose di Dio e quelle della gente, la cronaca di casa e il respiro della grande storia, i trent'anni di silenzio e i tre di parole pensate. Anche Dio visse tra stoviglie, bucato e rimproveri: e nulla fece per scansarli. 
Convinto com'era che nulla di quaggiù poteva più essere d'inciampo verso il cielo.
Nemmeno le incomprensioni di primo mattino tra le mura di casa sua.

don Marco Pozza



Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 2,41-52. 
I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua.Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. 




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