sabato 13 dicembre 2014

III DOMENICA DI AVVENTO


Le letture di questa domenica sono attraversate dal tema della speranza e della consolazione
Abbiamo tutti bisogno di speranza e di consolazione.
Dice una poesia uruguaiana: «Prenditi tempo per ridere, perché il riso è la musica dell’anima». E’ vero l’uomo è fatto per la gioia.

Ma c’è un problema: quale speranza è valida? Quale speranza è vera e non un’illusione?

Dobbiamo ammettere che oggi molte illusioni stanno svanendo, mentre ritorna l’attenzione ai valori scartati troppo in fretta: molte persone riscoprono il fascino della famiglia fedele e unita; molte persone riscoprono la bellezza del servizio ai poveri, agli ultimi, agli emarginati. Assistiamo a un vero terremoto nell’ambito delle speranze umane.

Ma noi, come credenti, ci chiediamo: la Bibbia cosa dice riguardo alla speranza?
E risponde il profeta nella prima lettura: «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio».
La gioia vera è Dio, perché solo lui è infinito e il cuore dell’umano è sintonizzato sull'infinito.

Ne segue che nessuna felicità è duratura se non poggia su Dio, nessun dolore è insopportabile quando Dio è al centro della vita.

Dio non è colui che chiede, ma colui che dà. Bisogna allora notare che il comandamento biblico: «amerai Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente», non è un comandamento a favore di Dio, come sembrerebbe a prima vista: è un comandamento a favore dell’uomo.

Nella seconda lettura l’apostolo Paolo ci porta a rivedere la nostra posizione davanti alla buona notizia, che è Cristo.

Fino a che punto Cristo è la nostra speranza? Fino a che punto noi aspettiamo il Signore? Fino a che punto è entrato dentro di noi l’ottimismo della fede, che illumina il giudizio su ogni avvenimento della vita?

Il discorso si sposta allora sull’accoglienza che noi abbiamo fatto e facciamo a Cristo. In questo ci aiuta il Vangelo. Infatti, attraverso la vicenda di Giovanni Battista, il Vangelo ci dice qual è l’atteggiamento che permette di sentire Dio e di riconoscerlo in Cristo.

Giovanni è un uomo mandato da Dio per dare testimonianza a Cristo:esattamente come ciascuno di noi. Giovanni viene interrogato: «Chi sei tu?» La vita di ciascuno di noi fa nascere interrogativi negli altri. Quali sono gli interrogativi che noi suscitiamo con i nostri comportamenti? Giovanni risponde: «Io non sono il Cristo»

In questa risposta c’è tutta la grandezza dell’uomo: Giovanni è consapevole di essere un mendicante raggiunto dalla speranza, ma egli non usa la speranza per inorgoglirsi.


Giovanni vede la luce, la indica agli altri, ma resta umile per non perdere la luce. Giovanni è forte nella fede, ma nello stesso tempo è umile: egli è forte quando parla di Dio. Ma è umile quando parla di stesso.

(P. Stefano Orsi, ofm)

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,6-8.19-28. 
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. 
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. 
E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Chi sei tu?». 
Egli confessò e non negò, e confessò: «Io non sono il Cristo». 
Allora gli chiesero: «Che cosa dunque? Sei Elia?». Rispose: «Non lo sono». «Sei tu il profeta?». Rispose: «No». 
Gli dissero dunque: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 
Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia». 
Essi erano stati mandati da parte dei farisei. 
Lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 
Giovanni rispose loro: «Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo». 
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando. 

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