Ci
stiamo avvicinando alla fine dell’anno liturgico e la liturgia della Parola ci
propone il tema della «veglia». Bisogna vegliare nell'attesa del ritorno del
Signore.
Attesa,
quindi, come operosità, come impegnare i tanti doni che il Signore ci ha dato
per poterli presentare a Lui raddoppiati.
L’immagine
dei talenti sta a sottolineare la larghezza dei doni di Dio. Tutto è dono di
Dio e occorre valorizzarlo.
Tutto
ciò che Dio ha messo nelle nostre mani occorre impegnarlo, metterlo al servizio
degli altri, farlo diventare carità.
Dio
distribuisce i suoi doni con grandissima fantasia e quindi in diversa misura.
Ciò significa che ognuno ha una strada tutta sua per santificarsi, un compito e
una vocazione, che sono personali e irripetibili.
Dio
a nessuno chiederà più di quanto Egli possa dare. La diversità dei doni è
volontà di Dio per dirci la possibilità di entrare nella felicità della carità.
E’ la carità che ci spinge a impegnare tutto per gli altri.
Non
dimenticare che, se hai salute, non è per te: è per far del bene; se hai
intelligenza, non è per te: è per far del bene a chi non ne ha; se hai bontà,
non è per te: è per far del bene a chi non ha bontà.
Questa
è la vita nel pensiero di Dio. L’aveva capito Raoul Follereau che arrivò a
dire: «vivere significa vivere per gli altri».
Chi
non impegna la vita per gli altri, non vive: è fuori binario e di conseguenza
fuori della felicità.
Ecco
perché Gesù condanna l’uomo che sotterra il talento. Quest’uomo appartiene a
quella categoria di persone che non si fidano di Dio, che si lamentano di
tutto, non sanno attendere, non sanno fidarsi.
Si
capisce subito quanto sia fuori del Vangelo la tanto comune autodifesa: «Non
faccio niente di male. Non ho peccati da confessare. Penso a me e non mi
preoccupo degli altri».
La
parola di Gesù è chiara: «A chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non
ha sarà tolto anche quello che ha».
A
Dio sta a cuore che noi facciamo del bene mettendo a frutto quanto siamo e
possediamo. Solo a questa condizione possiamo sentire a noi rivolto l’elogio
del Signore: «Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò
autorità su molto: prendi parte alla gioia del tuo padrone».
L’amore
è con noi soprattutto quando mettiamo la nostra vita in gioco per Lui perché è
risposta al Suo infinito ed incalcolabile Amore.
(P. Stefano Orsi, ofm)
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 25,14-30.Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo – elettronico, meccanico, reprografico, digitale – se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque.
Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.
Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.
Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due.
Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso;
per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo.
Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;
avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse.
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.
Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.
E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti».
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.