Nel giorno di
Natale abbiamo accolto l’annuncio della nascita del Figlio di Dio e della sua
partecipazione alla nostra storia di uomini. Con la festa della S. Famiglia la
chiesa c’invita a prendere in considerazione le conseguenze della Incarnazione:
Gesù ha condiviso in tutto la vita dell’uomo vivendo, come tutti, in una
famiglia, sperimentandone tutte i condizionamenti: è cresciuto, si è
fortificato, ha imparato, ha lavorato, ha condiviso i problemi che le quotidianità
presenta ad ogni convivenza famigliare.
Il vangelo non descrive la vita di Gesù
nella famiglia di Nazaret ma ce la lascia intuire offrendoci piccoli elementi:
il ritorno a Nazaret, la crescita del bambino “in sapienza, età e grazia”; uno
sviluppo come avviene per ogni bambino
che si fa uomo. Dopo l’episodio dello smarrimento nel tempio si dirà che “era
loro sottomesso”.
Tutto lascia intuire una vita
normalissima, senza interventi miracolosi di Dio, come vorrebbero i vangeli
apocrifi.
C’è però un dato che viene evidenziato in questo brano: la famiglia
di Nazareth vive nella fede in Dio, lasciandosi guidare da lui.
L’episodio del tempio nasce come
obbedienza alla legge d’Israele.
Maria non aveva bisogno di purificazione, né
Gesù di essere riscattato come gli altri primogeniti, perchè da sempre
apparteneva al Padre. Ciononostante la S. Famiglia va al tempio per la purificazione.
Quella di Nazaret è una famiglia guidata
da Dio e abbandonata alla sua volontà, come Abramo della prima lettura: “Abramo credette al Signore che glielo
accreditò come giustizia”.
Nel tempio
viene data un’altra testimonianza al bambino che è nato. Dopo quella dei
pastori, qui sono due personaggi del popolo d’Israele, due persone pie che
rappresentano i giusti d’Israele che attendono con fiducia l’adempimento delle
promesse. Accanto all’umile testimonianza dei pastori, quella del popolo. Dopo
la grotta, il tempio, il luogo che costituisce il cuore d’Israele. Non sono i
sommi sacerdoti che lo riconoscono e lo testimoniano ma la gente umile e
sinceramente pia: Simeone e Anna.
Le
prospettive di vita che la profezia di Simeone annuncia non sono belle: Gesù
sarà un segno di contraddizione e Maria stessa conoscerà il dolore. Possiamo
immaginare i pensieri e le preoccupazioni che quelle parole avranno suscitato
nel cuore di Maria e di Giuseppe.
Eppure loro continuano il loro cammino che è
un cammino di fede e di fedeltà alla missione che Dio ha loro affidato.
Hanno
detto il loro sì al momento della chiamata e a quel sì intendono rimanere
fedeli, convinti che fedele sarà pure Dio nel portare a compimento le sue
promesse di salvezza.
Nelle parole
di Simeone e Anna, Maria e Giuseppe trovano conforto per la loro fiducia: Dio è
fedele e chi lo attende , come Simeone e Anna, vedrà la sua salvezza. Una
salvezza grande oltre ogni speranza, perché sarà salvezza per tutti i popoli: “luce per illuminare le genti”.
Simeone ha la
soddisfazione di stringere tra le sue braccia il Figlio di Dio riconosciuto in
quel bambino che è nato da Maria. Egli è per noi un segno di speranza.
Anche la
nostra lunga attesa è destinata a trovare soddisfazione quando ci sarà dato
d’incontrare il Signore Gesù e riconoscerlo come nostro salvatore.
Per ora
accogliamo l’insegnamento che ci viene proposto da questo episodio: La fede
umile e forte di Maria e Giuseppe e la loro fedeltà alla missione che Dio ha
loro affidato senza scoraggiarsi di fronte alla prospettiva della fatica e
della sofferenza, nella convinzione che Dio è fedele e conduce anche la nostra
storia verso la salvezza.
Facciamo pure
tesoro della testimonianza di Simeone e
Anna: fedeli nell’attesa con una vita tutta spesa nel servizio lì dove il
Signore ci ha posti a operare.
(p. Stefano Orsi ofm)
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Dal vangelo secondo Luca (Lc 2,22-40)
Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore”; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era su di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio:
“Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele”.
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima”.
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Ase. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero tutto compiuto secondo la Legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret.
Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.
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